La questione democratica è la vera agenda del governo che noi tutti ci auguriamo possa uscire dalle prossime elezioni. 

È  il  tema  centrale  della  società  edella  politica  italiana,  quella  politica diventata ancella dell’economia, con le leggi dellostato soppiantate da quelle di un  mercatoconcepito come elemento indiscutibile e «naturale», producendo una progressiva riduzione del senso della presenza politica.

È così che la questione democratica  si  legaalla  questione  della  rappresentanza,  che  seè  molto  forte  ed  evidente  nel  mondo  dellavoro,  ci  riguarda  anche  come  cittadini.

Non possiamo dimenticare che tuttora votiamo con una legge dalla dubbia costituzionalità, mentre la politica non è stata sensibile a questo problema, al carattere democratico della rappresentanza, con le conseguenti distorsioni che vediamo in questa campagna elettorale, l’emergere dei populismi, la tendenza al voto di protesta.

Qui la questione del lavoro è centrale. l ruolo del lavoro deve essere ripensato apartire dal ruolo che deve avere il pubblico, come ci ricorda la stessa Corte dei Conti sottolineando l’urgenza di fare un bilancio critico delle nostre  privatizzazioni, che per lunghi anni sono invece state considerate un sacro tabù.

In questi ultimi vent’anni il ruolo pubblico èstato emarginato e individuato come il male dacombattere.

I risultati sono di fronte a noi, non solo nella dimensione italiana, perché sappiamo che la crisi che attanaglia il mondo almeno in parte è stata generata dal privato e dalla sua presunta sacralità.

Così  siamo arrivati al puntoda incontrare parecchie difficoltà nel da reregole al privato, cosa invece indispensabile per «ripubblicizzare» le nostre società e affrontare le nostre emergenze, prima fra tutte quella della  cittadinanza. Cittadinanza che non può prescindere dal lavoro, come ci ricorda la nostra carta costituzionale, lavoro che è intrecciato profondamente con tutti gli altri diritti.

Questo chiama in causa il ruolo del sindacato.

Spesso negli ultimi anni il sindacato – almeno un certo tipo di sindacato – è stato dipintocome un nemico, responsabile di qualunque male. È un filo lungo che sta nella storia di questo paese, penso al decreto di san Valentino sulla scala mobile che aveva anche lo scopo di decretare l’irrilevanza politica del sindacato.

Così oggi il sindacato viene accettato solo setorna a essere cinghia di rasmissione di qualcuno, mentre è considerato un soggetto turbativo se riparte dalla rappresentanza, perché il populismo concepisce la politica  solo come «presa diretta» priva di qualunque struttura dimediazione. 

Da qui l’ossessione degli attacchi alla Cgil o alla Fiom, illudendosi di cancellare il conflitto e chi lo gestisce, rimuovendo il ruolo fondamentale di coesione sociale che  assumeun sindacato autonomo dal potere.

Per questola rappresentanza sindacale è un tema politico generale, che riguarda tutti, un componente della questione democratica da affrontare: la legge  sulla  rappresentanza del lavoro ne è un passaggio necessario.

Una seconda questione è che in democrazia ogni negoziazione deve essere «all’ombra della legge», cioè con regole che la mettano al riparo  dalle  sopraffazioni. E qui mi chiedo perché partiti vicini a noi non hanno colto l’importaza  dei referendum sull’articolo 8 e sull’articolo 18, contro la dissoluzione privatistica del diritto del lavoro, il diritto di coalizione dei lavoratori, il diritto di sciopero, la riconquista del potere sociale che non è solo un problema italiano ma che in Italia acquista maggior peso, per la crisi della politica e per la sua distanza dai problemi del lavoro.

Noi  abbiamo avuto una  continua abdicazione del ruolo pubblico in economia e sui rapporti tra imprese e lavoro, come nel caso dei persistenti attacchi allo  Statuto dei lavoratori. Per questo i referendum sull’articolo 8 esull’articolo 18 sono più che necessari.

E mispiace che pure nel sindacato e dalle nostre parti non sempre questi referendum siano stati sostenuti con la dovuta energia.

Oggi dobbiamo riproporne la crucialità come parte della questione democratica che mi auguro il prossimo governo affronti.

Una terza questione riguarda l’Europa, la necessità di un’iniziativa sindacale europea, ancora troppo debole rispetto alle dimensione dei problemi che vanno  ormai affrontati in un quadro europeo.

Però è importante, ad esempio, che i sindacati dei lavoratori pubblici europei abbiano già raccolto più di un milione  di firme da sottoporre alla Commissione Ue, contro la privatizzazione dei servizi pubblici. Perché l’iniziativa sindacale su scala europea è indispensabile per evitare  che la giusta richiesta di più Europa politica non si riduca a dare più potere per governare con mano di ferro l’economia azzerando la dimensione dei diritti.

Pericolo che va scongiurato ribadendo il ruolo fondativo dei diritti dei cittadini nella storia europea.

Da questo punto di vista, in questi giorni è stata presentata un proposta di legge d’iniziativa popolare sul reddito minimo garantito, il cui primo articolo fa  riferimento all'impegno contenuto nella carta europea di garantire un’esistenza dignitosa a tutti i suoi cittadini, evitando l’esclusione sociale.

Credo che anche il sindacato debba confrontarsi con queste proposte, se non altro perché la lunga crisi economica che stiamo attraversando e di cui non  conosciamo l’esito, richiede un degli  ammortizzatorisociali nati parecchi anni fa.

La lotta per un’esistenza dignitosa di cui dobbiamo farci carico per aggiornare il nostro welfare anziché smantellarlo è l’opposto di quella concezione caritatevole dell’assistenza contenuta, ad esempio, nell’agenda Monti laddove si parla di reddito di sostentamento minimo e lo si aggancia alla social card, uno degli strumenti peggiori messi in campo dal governo Berlusconi. Come a dire, «al massimo vi impediremo di morire di fame».

Questo è un ritorno indietro nel tempo, a prima della modernità, a prima di Locke, pensatore liberale che considerava il lavoro proprietà della persona.

Noi stiamo vivendo una  regressione culturale che si traduce in interventi istituzionali: dobbiamo contrastare questa tendenza, compresi quegli aiuti – più o meno inconsapevoli – venuti anche da sinistra a un pensiero riassumibile nelle banalità del«pubblico è brutto».